GIURISPRUDENZA NELLA CARTELLA CLINICA / Valore probatorio del contenuto della cartella clinica

In tema di prova documentale, la circostanza che un atto sia formato con il concorso di persone che, successivamente, sia chiamata a rendere dichiarazioni nel processo (come imputati, testimoni o in altra veste) non esclude la natura di documento dell'atto medesimo e non produce effetti sulla sua utilizzabilità in giudizio, salvo l'obbligo per il giudice di verificarne l'attendibilità con particolare rigore, qualora i contenuti del documento possono essere stati falsati in vista delle possibili conseguenze. (In applicazione di tale principio, la Corte ha disatteso l'eccezione di inutilizzabilità di annotazioni, contenute nella cartella clinica, redatta da persona sottoposta ad indagini in procedimento connesso).Cass. pen. sez. IV 9/3/2001 n. 28132.

L'affermazione in sentenza d'una verità sperimentale, collegata alle risultanze probatorie del processo, lungi dall'essere scienza privata del giudice, costituisce apprezzamento delle prove e dunque tipica espressione del libero convincimento che si porge come ripudio degli schemi inquisitori. (Nella specie i giudici di merito, dopo aver premesso che "gli edemi si manifestano progressivamente nel tempo", avevano verificato l'anzidetta premessa con specifico riferimento ad alcune circostanze del processo, come i referti medici e la cartella clinica). Cass. penale, sez. I, 12 giugno 1979.

La possibilità, pur rigorosamente prospettata sotto il profilo scientifico, che la morte della persona ricoverata presso una struttura sanitaria possa essere intervenuta per altre, ipotetiche cause patologiche, diverse da quelle diagnosticate ed inadeguatamente trattate, che non sia stato tuttavia possibile accertare neppure dopo il decesso in ragione della difettosa tenuta della cartella clinica o della mancanza di adeguati riscontri diagnostici (anche autoptici), non vale ad escludere la sussistenza di nesso eziologico tra la colposa condotta dei medici in relazione alla patologia accertata e la morte, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocarla. Cass. civ., sez.III, 13/9/2000 n. 12103 – Cod. civ. art. 2236.

Quando la corretta esecuzione di un intervento chirurgico richiede il compimento di una determinata operazione, e questa non risulti dalla cartella clinica, sussiste una presunzione "juris tantum" di omissione a carico del medico, il quale avrà l'onere, se vuole andare esente da responsabilità di provare di avere effettivamente compiuto l'operazione non annotata nella cartella clinica. Tribunale Roma, 28 gennaio 2002.

Sussiste il dolo dell'assicurato (valore probatorio del contenuto della cartella clinica per il contratto di assicurazione) ai sensi dell'art. 1892 c.c., allorché questi, sottoposto ad un intervento chirurgico (di quadruplice by-pass aortocoronarico) integrante il rischio dedotto nel contratto di assicurazione privata contro le malattie, abbia dichiarato nella cartella clinica di ricovero una pregressa infermità (di arteriopatia obliterante agli arti inferiori), taciuta, invece, nel questionario medico al contratto; quest'ultimo, peraltro, predisposto in modo sufficientemente specifico da mettere in condizione l'assicurando di valutare l'intento perseguito dall'assicuratore. Corte appello Roma, 16 febbraio 1995.

Le attestazioni contenute in una cartella clinica sono riferibili ad una certificazione amministrativa per quanto attiene alle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento, mentre le valutazioni, le diagnosi o comunque le manifestazioni di scienza o di opinione in essa contenute non hanno alcun valore probatorio privilegiato rispetto ad altri elementi di prova; in ogni caso, le attestazioni della cartella clinica, ancorché riguardante fatti avvenuti alla presenza di un pubblico ufficiale o da lui stesso compiuti (e non la valutazione dei suddetti fatti) non costituisce prova piena a favore di chi le ha redatte, in base al principio secondo il quale nessuno può precostituire prova a favore di se stesso. Cass. civ. sez.III, 27/9/99 n. 10695. (C.C. artt. 2699 - 2700 - c.p.c. artt. 115 - 116 ).

L'odontoiatra incaricato della predisposizione ed applicazione di protesi viola gravemente i doveri inerenti alla propria attività professionale - ed è pertanto tenuto a risarcire il danno biologico e patrimoniale cagionato al paziente - nel caso di errata progettazione delle protesi, di prematura protesizzazione definitiva e di omessa annotazione sulla cartella clinica dei dati relativi allo stato parodontale del paziente. Pretura Modena, 9 luglio 1993.

Non rispondono del reato di cui all'art. 19, comma 5 legge n. 194 del 1978, i medici del servizio ostetrico-ginecologico di un ente ospedaliero, i quali abbiano effettuato interruzioni di gravidanza su donne minorenni, dopo il novantesimo giorno dall'inizio della gestazione, certificando direttamente nella cartella clinica la sussistenza dei processi patologici previsti all'art. 6, lett. b), della stessa legge. Tribunale Milano, 22 giugno 1993.

In materia pensionistica di guerra non può ritenersi dipendente da fatto bellico una frattura alla colonna vertebrale riportata da civile in mancanza di qualsivoglia documentazione sanitaria attestante ricoveri in strutture mediche pubbliche o private coevi alla dichiarata epoca dell'evento, dovendosi, piuttosto, detta lesione ricollegare ad una caduta accidentale per le scale come risulta dall'anamnesi familiare e personale riportata nella cartella clinica dell'ospedale .civile. di Caserta e da certificato medico di parte. Corte dei Conti, sez. V, 11 /12/93, n. 66977.

In materia pensionistica di guerra non può ritenersi tempestivamente constatata una infermità ove vi sia incertezza sull'esatta individuazione della infermità stessa in mancanza di elementi probatori concordanti (nella specie la domanda pensionistica, il certificato del medico di parte, il foglio notizie e la cartella clinica). Corte dei Conti, sez. V, 1 luglio 1991, n. 65338.

Nel giudizio pensionistico di guerra, è ammissibile il ricorso per revocazione che trovi il proprio fondamento nel rinvenimento, successivo alla decisione giurisdizionale, di cartella clinica attestante il ricovero ospedaliero durante il servizio di guerra, documento di cui non risulta che il ricorrente fosse precedentemente a conoscenza ancorché si fosse attivato presso i competenti organi medico-sanitari per il reperimento di tutta la documentazione di rilievo. Corte dei Conti, sez. IV, 15 febbraio 1991, n. 70983.

Qualunque evento non sia stato annotato nella cartella clinica, non viene preso in considerazione anche se la circostanza potrebbe discolpare il medico. Nella fattispecie, l’evento lesivo patito dal neonato viene imputato alla imperizia professionale del ginecologo, il quale non ha provveduto alla intubazione del bambino. I giudici hanno sottolineato che, dall’esame del certificato di assistenza al parto e della cartella clinica, peraltro compilati in modo carente, non risultava si fossero presentate situazioni tali da impedire l’intubazione del neonato, provvedimento che avrebbe evitato il grave danno al bambino. La Corte ha ritenuto “presuntivamente” che, non essendo annotata né nella cartella clinica né nel certificato di assistenza al parto, alcuna circostanza che spiegasse la mancata intubazione, doveva ritenersi per “provato” che nulla di ciò si fosse verificato e, pertanto, la grave e irreversibile patologia causata al bambino doveva ritenersi in modo “certo” all’errore professionale del medico presente al parto, sbaglio “desumibile per presunzione” dalla carente compilazione del certificato di assistenza al parto e della cartella clinica. Cassazione sezione 3 civile, 27 luglio 2003, n. 11316.

Le attestazioni contenute in una cartella clinica sono riferibili ad una certificazione amministrativa per quanto attiene alle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento, mentre le valutazioni, le diagnosi o comunque manifestazioni di scienza o opinione in essa contenute non hanno valore probatorio privilegiato rispetto ad altri elementi di prova; in ogni caso, le attestazioni della cartella clinica, ancorchè riguardante fatti avvenuti in presenza di un pubblico ufficiale o da lui stesso compiuti ( e non la valutazione dei suddetti fatti) non costituisce prova piena a favore di chi le ha redatte, in base al principio secondo il quale nessuno può precostituire prova a favore di se stesso. Cassazione 27 settembre 1999 n.10695.

In tema di responsabilità professionale del medico-chirurgo, compete al medico, tutte le volte che il caso affidatogli non sia di particolare complessità, provare che l’insuccesso del suo intervento è stato incolpevole e non al paziente dimostrane la colpa. Cassazione sezione 3 21 luglio 2003 n. 11316 (in precedenza: Cassazione sez.III civ. 18 sett.1980).

Tratto da Iuris Data.

 

Torna all'indice